Carissimi Amici,
nell’approssimarsi del Natale del Signore anche per noi risuona l’invito rivolto ai pastori nella Notte santa: «Andate a Betlemme, troverete un bimbo in una mangiatoia avvolto in fasce». Nel Bambino nato a Betlemme la salvezza operata da Dio si è manifestata e tutti gli uomini possono contemplarla e accoglierla nel loro cuore. A Natale Dio si fa uomo, perché l’uomo condivida la vita divina; si fa pellegrino sulle strade del mondo, perché l’uomo ritrovi la strada dell’incontro con Lui; si incarna nella storia, perché la storia degli uomini diventi storia di salvezza.
Ogni nascita è segno di speranza. Oggi nel nostro tempo è possibile ancora sperare? Viviamo in un tempo segnato da profonde incertezze ed inquietudini di vario genere. La precarietà accompagna il cammino dell’uomo nei vari ambiti dell’esistenza.
Oggi la percezione più diffusa in molti è il drammatico venir meno la speranza: la vita appare schiacciata sul presente e sulle necessità, il futuro ha cessato di rappresentare una promessa capace di mobilitare desideri, energie, prospettive di azione. A noi cristiani è affidato il compito: di tenere viva la speranza, quella fondata su Gesù Cristo, come assunzione di responsabilità dinanzi a Dio e all’uomo.
Come al tempo della nascita di Gesù: per Lui non vi era posto perché straniero, tutto era esaurito nelle locande di Betlemme; così il Figlio di Dio dovette farsi uomo in una grotta. Gesù, appena viene al mondo, fa l’esperienza della povertà, del rifiuto, della freddezza del cuore umano. Così, quanto è avvenuto duemila anni fà a Betlemme e dintorni, si ripete anche oggi nella nostra società. Vi è una umanità segnata profondamente dalla sofferenza: famiglie piegate dal peso della tristezza per mancanza di lavoro e senza alcuna possibilità non solo di poter guardare al futuro con fiducia, ma soprattutto di poter vivere con dignità il presente. Vi è l’impossibilità a curarsi da malattie perché quel poco che si ha serve solo per il cibo, quando si ha. Vi è l’umiliazione dei poveri che spesso sono evitati perché la loro presenza inquieta e disturba. Vi è il rifiuto di tanti fratelli senza fissa dimora che non vengono accolti, perché stranieri e quindi rifiutati; eppure Cristo nasce anche per loro. Vi è il travaglio interiore dei giovani senza prospettive di lavoro. Vi è il disagio dei padri di famiglia che non sanno come dire ai figli che non possono dare a loro il necessario per una vita dignitosa. Vi sono tante persone che vivono il dramma della solitudine.
Come si può annunziare la speranza a queste persone?
Oggi c’è crisi di speranza perché vi è deficit permanente di solidarietà e di amore. Come ci dice Papa Francesco:
«Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene».
Cristo a Natale nasce sostanzialmente per dare speranza e insegnare a tutti gli uomini a vivere una vita nuova: ritmata dalla sobrietà, guidata dalla giustizia, animata dalla carità.
Quando Cristo è nato, più di duemila anni orsono, la sua nascita cambiò il corso della storia e la vita di molti uomini. Fu una rivoluzione silenziosa, ma efficace.
Una vera e propria rivoluzione ci chiede il Natale: la rivoluzione interiore del nostro cuore, dei nostri pensieri, delle nostre decisioni delle nostre azioni. E' da questa rivoluzione interiore che scaturirà la vera gioia della vita come dono di Dio e frutto del nostro impegno di amore verso i nostri fratelli e sorelle.
Lasciamoci quindi prendere per mano dai pastori, nostri modelli e amici: loro sanno perché ci dicono: «Andiamo a Betlemme!».
Auguri amici e la gioia vera del Natale invada i nostri cuori.
Patti, 26 novembre 2017.
X Guglielmo Vescovo