di Emanuele Di Santo
Nell’insieme dei circa 152 versetti del Nuovo Testamento che riguardano la Vergine Maria, la pagina dell’Annunciazione, nel Vangelo secondo Luca, è quella che è stata più meditata e commentata dai Padri della Chiesa. I primi pensatori cristiani la leggevano non solo con gli occhi dell’intelletto, ma anche con l’animo adorante e colmo di meraviglia di fronte al mistero del Dio fatto uomo nel grembo verginale di Maria.
Considerata l’Annunciazione nel suo significato salvifico, in quanto rivelazione di un evento soprannaturale che dà inizio all’opera divina della redenzione dell’uomo e del cosmo, il “sì” di Maria segna una svolta inaudita nella storia dell’intera umanità. S. Ireneo di Lione († 200 circa) vi vede la riparazione del peccato originale: la vergine Maria risulta così l’avvocata della vergine Eva, in quanto «come quella si lasciò sedurre in modo da disobbedire a Dio, così questa [Maria] si lasciò persuadere in modo da obbedire a Dio». E in pieno Medioevo, a conferma della fecondità di questa lettura, S. Bernardo di Chiaravalle († 1153) in uno dei suoi sermoni mariani, si rivolge direttamente alla Vergine immaginando di sollecitare il suo assenso: «L’Angelo aspetta una risposta; è ormai tempo che ritorni a colui che l’ha mandato. Aspettiamo anche noi una parola di compassione, o Signora, noi sui quali miserevolmente grava la sentenza di condanna. Ed ecco che ti è offerto il prezzo della nostra salvezza: se tu acconsenti, noi saremo immediatamente liberati”.
I Padri della Chiesa si rivelano inoltre particolarmente attenti a scandagliare la vita interiore di Maria, quale risulta dalla scena dell’Annunciazione, meditando sulla sua fede, sulla sua umiltà e sulla sua pronta obbedienza alla parola dell’Angelo e insegnando, proprio a partire da questo testo, la perpetua verginità di Maria. Per tutti citeremo S. Ambrogio († 397) che, da fine artista, ci ha lasciato questa bellissima descrizione dell’Annunziata, destinata a grande fortuna nell’iconografia sacra: «Ella era vergine non solo di corpo ma anche di mente e non falsò mai, con la doppiezza, la sincerità degli affetti. Umile di cuore, riflessiva, prudente, non loquace, amante dello studio divino, non riponeva la sua speranza nelle instabili ricchezze ma nella preghiera dei poveri. […] Dall’angelo fu trovata sola nella cella più appartata della casa, per non essere distratta né disturbata … Questo dimostra quanto pio fosse il suo udito e verecondo il suo sguardo. Infine, salutata, tacque, ma interrogata rispose. E se dapprima si era turbata, promise poi ubbidienza» .
Nel saluto angelico i Padri trovano l’attestazione più alta della sublime dignità di Maria e la rivelazione del suo mistero. Già Origene († 254 circa) scriveva: «Mai tali parole, Ave, piena di grazia, furono rivolte ad essere umano; tale saluto doveva essere riservato soltanto a Maria». E S. Agostino († 430) contemplava: «Chi sei tu destinata a divenire madre? Come meritasti ciò? Donde lo ricevesti? Come si farà in te colui che fece te? Sei vergine, sei santa, hai fatto il voto, ma è molto quel che meritasti … Vedo la Vergine che, pur arrossendo, mi risponde e mi ammonisce: Mi domandi donde mi viene questo? … Odi il saluto dell’angelo stesso e in me riconosci la tua salute. Credi a colui al quale ho creduto… Dimmi, o angelo, donde viene a Maria questo dono? Già lo dissi quando la salutai: Ave, piena di grazia».
Grazie ai Padri della Chiesa, l’Ave dell’Arcangelo Gabriele, incessantemente ripetuto fin dai primi secoli sia negli inni liturgici – basti pensare al celebre Akathistos della tradizione orientale – che nelle semplici preci del popolo cristiano, unisce cielo e terra nel celebrare le grandi opere di Dio compiute nell’umile Vergine Maria.
Emanuele Di Santo