“GAUDETE ET EXULTATE” Santità per tutti!
È ancora attuale proporre un cammino di santità? Se questa domanda ha interessato la pastorale in questi anni è perché la santità è stata interpretata per lo più come una meta raggiungibile da pochi privilegiati. Eppure il Vaticano II aveva affermato con forza che essa è una vocazione di tutto il popolo di Dio e nessuno ne è escluso. Ma la realtà modana, la cultura secolarizzata, la fragilità psicologica, la perdita del senso religioso hanno fatto pensare che l’esercizio eroico delle virtù è improponibile in questo nostro tempo.
Ecco un’ulteriore intuizione di Papa Francesco che con una nuova esortazione apostolica, “GAUDETE ET EXULTATE”, la terza del suo pontificato, fa chiarezza e descrive la santità come una realtà feriale, che ha a che fare cioè con la vita di tutti i giorni, interessa chiunque e a qualsiasi età. Basta prendere sul serio il Vangelo, guardare a Cristo Gesù e incarnare nel concreto della propria situazione esistenziale lo spirito con cui Egli ha vissuto tra noi. Lo si trova descritto nelle Beatitudini e nel comandamento della carità, esplicitato in maniera concreta nella parabola del giudizio finale. È il cuore del messaggio. Il Papa risponde alla domanda che egli stesso pone: “Come si fa per arrivare ad essere un buon cristiano? È necessario fare, ognuno a suo modo, quello che dice Gesù nel discorso delle Beatitudini”. L’approfondimento e l’attualizzazione del loro contenuto lo porta a delle esemplificazioni che hanno della profezia. Come quando riprende il tema della cura dei migranti e afferma che non è “secondario rispetto ai temi seri della bioetica”. Perché “ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati e si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto”.
Il titolo dell’esortazione, che, in sintonia con le altre due, invita alla gioia, aiuta a capire che la santità non è remissività, inibizione, malinconia e tristezza, ma audacia e gioia interiore ed esteriore. Il Papa dedica un intero capitolo a spiegare il necessario equilibrio tra contemplazione e azione, capace di esorcizzare due “sottili nemici della santità”, cioè la chiusura soggettiva nella propria ragione (lo gnosticismo) e l’autocompiacimento egocentrico della volontà umana e dello sforzo personale (il pelagianesimo).
Assieme alla descrizione di quella santità “della porta accanto” che invita a riconoscere nei piccoli gesti il coraggio di andare controcorrente, non manca l’indicazione dei percorsi che rendono possibile la santità oggi. Uno è senz’altro quello della pazienza, sinonimo di costanza nel bene e di fedeltà nell’amore. Un altro è il coraggio, inteso come fervore, disponibilità, missionarietà. Vengono poi le relazioni in famiglia, in parrocchia, nella comunità religiosa o in qualunque altra, dove la “cura dei particolari dell’amore” rende presente Cristo risorto. La preghiera, ricca di memoria, quindi non disincarnata ma intrisa di storia, resta per tutti, e non solo per pochi privilegiati, il luogo in cui si fa esperienza dell’amore del Signore, ricevuto e donato. Se c’è qualche resistenza nell’intraprendere il cammino verso la santità è per l’azione del maligno; egli non è un mito, una rappresentazione simbolica, ma un essere personale che ci tormenta. Va combattuto per non cadere in quella corruzione spirituale che porta a ritenere tutto lecito. Così come va operato quel discernimento che ci dice se una cosa viene dallo Spirito Santo o se deriva dallo spirito del mondo o dallo spirito del diavolo. È dono, è ascolto, è educazione alla logica della croce che apre tutta la vita alle novità del regno di Dio.