È successo quest’estate durante una passeggiata al lungomare di Capo d’Orlando, che abbiamo incrociato alcuni adolescenti accompagnati da una musica ritmica martellante che usciva da assordanti stereo che portavano con sé a mo’ di zaino. “Che è?”, chiesi agli amici con cui ero in compagnia. “È il trap!”, mi risposero, meravigliati che non conoscessi questo nuovo genere musicale, popolare tra i giovanissimi, che andava prendendo piede nelle trasmissioni radiofoniche. Dovetti informarmi per non correre più il rischio di fare magre figure. Si tratta di una musica che presenta linee vocali a metà tra il cantato e il rappato, dal ritmo ripetuto e sincopato, con l’utilizzo di un software che altera voci e basi rendendole artificiali. Nei testi delle canzoni vengono descritte le situazioni di vita nei quartieri, spesso in modo “brutale” e senza filtro. Quando la mattina di domenica 10 febbraio venni a sapere che a vincere il 69° festival della canzone italiana era stato Mahmood, un giovane rapper italo-egiziano, da veterano che ascoltava alla radio la kermesse canora negli anni ‘70, mi precipitai a leggere il testo della canzone. Capii subito che dovevo cercare altrove. Sembra che l’obiettivo segreto del conduttore e direttore artistico sia stato quello di avvicinare il pubblico tradizionale del Festival agli idoli dei giovanissimi e di interessare al tempo stesso i giovanissimi alla tradizione di Sanremo, che da troppi anni ormai snobbavano. “Quest’anno - ho letto in un commento - le canzoni in gara rispecchiano realmente i gusti dei consumatori, e Sanremo, oltre che una vetrina, è stato «specchio» del Paese; un Paese che cambia ed è cambiato radicalmente, così com’è cambiata l’offerta canora di questo Festival”. Non entro in merito, ma tutto questo mi ha fatto riflettere parecchio su una esigenza da non trascurare: aprirsi all’inedito, cogliere ricchezze improbabili, imparare nuovi linguaggi, entrare in dialogo tra generazioni diverse. E che dire della presenza di riferimenti a Dio e alla spiritualità nelle canzoni in gara tanto da interessare il Cardinale Ravasi a fare una analisi di alcuni brani. Da Abbi cura di me di Simone Cristicchi riporta «Basta mettersi al fianco invece di stare al centro», mentre da Argento vivo di Daniele Silvestri:
“Avete preso un bambino che
non stava mai fermo.
L’avete messo da solo
davanti a uno schermo.
E adesso vi domandate se sia normale
se il solo mondo che apprezzo
è un mondo virtuale.”
Tra i cantanti in gara, c’è poi chi si rivolge esplicitamente a Dio, chi richiama il Vangelo e chi, più in generale e con toni differenti, affronta temi legati alla spiritualità.
Nella sua Rolls Royce, il giovane Achille Lauro, dopo aver inneggiato alle star del rock (e non solo) del passato come Jimi Hendrix, Elvis Presley, Rolling Stones e a una vita vissuta all’estremo tra concerti, alcol e, appunto, rolls royce, si domanda «di noi che sarà» e chiude l’energetico brano con quella che appare come una richiesta di perdono:
“Dio ti prego salvaci da questi giorni,
tieni da parte un posto e segnati ‘sti nomi.”
Il giovanissimo Ultimo parla, nella canzone I tuoi particolari, di un amore che non c’è più e si rivolge direttamente a Dio con la speranza che gli suggerisca nuove parole per ricordare la bellezza di una vita insieme:
“Se solamente Dio inventasse delle nuove parole
potrei scrivere per te nuove canzoni d’amore e cantartele qui.
Fra i miei e i tuoi particolari, potrei cantartele qui.”
Il già citato Cristicchi, che si rivolge a una persona amata chiedendole di avere cura di lui, esprime poeticamente il bisogno di ricevere amore, non solo di darne: «L’amore è l’unica strada, è l’unico motore. È la scintilla divina che custodisci nel cuore».
Ma sono molti i passaggi dal forte valore spirituale. Eccone alcuni:
“Non cercare un senso a tutto perché tutto ha senso.
Anche in un chicco di grano si nasconde l’universo,
perché la natura è un libro di parole misteriose
dove niente è più grande delle piccole cose.”
Un augurio mi sorge nel cuore: la preghiera semplice di San Francesco “Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace: dove è odio, fa ch'io porti amore, dove è offesa, ch'io porti il perdono, dove è discordia, ch'io porti la fede, dove è l'errore, ch'io porti la Verità, dove è la disperazione, ch'io porti la speranza”, è stata musicata in tanti modi. Mi auguro che venga il giorno in cui dei giovanissimi la canteranno con il loro linguaggio e il genere musicale del momento, non potrò che compiacermi. E imparerò anch’io a ripetere: “gioia, gioia, gioia…”, “luce, luce, luce…”. Perché “è dando, che si riceve: perdonando che si è perdonati, morendo che si risuscita a vita eterna”.